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Von Grillparzer.
(Nach des Kaisers gefährlicher Krankheit 1826.)
Zu Mitternacht in Habsburgs alten Mauern Was hält er? Ists ein Stab? Es blinkt wie Waffen! Jetzt steht er still, dort wo das Pförtchen schließet, Und drin ein Mann auf seinem Schmerzensbette, »Wohl auch als Gatte mocht' er sich bewähren, Und er tritt ein. Da summen leise Klänge Und alle Hände sind zum Fleh'n gefaltet, Schon hört er nicht mehr das Gebeth der Menge, |
Dottore di leggi, Imp. Reg. Amministratore del Lotto nel Tirole e Vorarlbergh, membro del Ferdinandeo, e di altro società accademiche.
Sciolti. | |
Era cupa la notte, era già l'ora Degli spettri. Ravvolto in nera veste Che dal capo gli scende al tardo piede, E le cui lunghe falde apporfondite Tutt' altro lascian traspirar che membra Per la forza vital carnute e tese, Misterioso aspetto nelle mura U' degli Eroi d'Absburgo memorando Sorger si vede la vetusta reggia, Entra. Or s'aggira, or s'arresta, or argguata, Stende il piè, e innanti va. Ma nella destra Che stringe e mai? Forse un sostegno al fianco? Un acciar forse quel fulgor m'accenna? Ah, che tremenda falce mietitrice Io vi ravviso. Alto tenendo l'arma Nella reggia ei penetra, ed oh qual vista! Là dove il lembo della lunga veste Del passo all' alternar in due si parte, L'inaridito biancheggiante ossame S'appressenta allo sguardo, e l'atterisce. Ora ben ti conosco, oh de' mortali Carnefice spietato! in questo asilo Sacro, che cerchi tu? barbaro ignori? La preziosa inestimabil vita D'un Solo – è qui vita di tutti; al tempo, E non a te, spetta troncarne il filo. Egli si ferma, e là dove più augusta Chiude la porta, tacito si sta. Deh chiudi si, che mai gli sia concesso Più avanti penetrar! Ma già l'audace Fuor dalla veste, che d'intorno il cinge La secca allunga mar scarnuta, l'uscio Già già tocca col dito; in un istante Come a mosse dai cardini stridenti Si spalancan le porte, e a lui che destro Mai fallò il colpo, stanza si presenta, Che debil raggio di sospeso lume Rischiara. Sul letto del dolore Là giace uom, ah più che uom rassambra! Di qual mador non mirasi cospersa L'augusta fronte! immobili al suo fianco Duo matrone vi stan, consorte, e madre. Ma quel diadema che del letto a' piedi Fulge? Un diademe! »ah che un Monarca è questi!« Lo sciagurato messaggier esclama: »Si un ottimo Monarca a quei vi scorgo »Pel lungo fatticar ahi troppo presto »Bianchi capegli; impareggiabil sposo »Me l'addita la tenera Consorte, »Ch'ogni sespiro, ogni suo moto spia, »Adorato Signor, Padre amororo »Chi nol ravvisa a quei singulti, al pianto »Onde risuona la regal maggione »Tutta intorno! ma che! Dovrà ciò forse »Me dal colpo arrestar, me delle spose »Alle lagrime sordo, inesorabile! »E non son io quei, che ogni giorno il figlio »Invola al genitor! si compia omai »Quanto il Fato segnò.« Disse, e s'appressa Del Grande al letto. Dolorosi lai, Che dall' aula s'innalzano improvvisi In flebil suono, le sue altente orrechie Di nuovo a fieder vanno. Oh quanto augusto Alla fluttuante mesta gente è il loco! Avido ognun' vuole novella, ognuno Fisa in alto le luci; gemebondo Questi, da quei che sta piangendo chiede (E la risposta a lui quel pianto addita) Se speme v' è? del lacrimoso ciglio Il cenno micidial di bocca in bocca Pella folla sen va; le mani al Cielo Sollevan tutti, fervide preghiere Ripetono le labbra tremolanti; E quel dardo di morte, che un sol core Sta per ferir, quel dardo in mille petti Passa, e profonda v' apre acerba piaga. Il crudele quì arrestasi; lo sguardo Or sull' Ergo rivoglie, or sulla sempre Mobile calca, che mai trova pace. Gli manca il piè, la man vacilla, e alfine Ver la soglia ritorna. In un istante Tacion le preci, e all' improviso annuncio Del cessato periglio, ebbra di gioja Alto applaude la folla. Egli raddoppia I retrogradi passi, e dove han fine Le tertuose volte della reggia, S' alza nell' aere qual notturna nube. Ma come in alto ei fu, voce s'udio, Che parea dir; »Al mio dovere è meta »L'Altrui comando, obbediente e pronto »Venni un sol core per ferir, mia destra »Ah no che mille, e mille cor non fere.« |